Il Tempo e la Storia sembrano senza più valori nella loro intersecazione ed a prescindere dalle ovvie relazioni, le due entità giacciono inessenziali alla infinita distanza da noi. Il Bello ed il Brutto non appaiono da meno: ridotte a categorie di un giudizio di valore sempre più relativo. Cosicché la sfera dell’arte contemporanea pare non avere preclusioni nell’accogliere nuovi esperimenti. Una volta popolato dai geni, graziati dal Creatore, disciplinati dalla bottega, questo mondo esclusivo si è fatto: grande nello spazio fisicamente disponibile; immenso nel poco significativo valore delle idee. Le certezze si sono finalmente disciolte, autenticando come “genio” una dispersiva popolazione di artisti, architetti, “creativi”, designer, scrittori e drammaturghi.
Cambia ancora questo mondo! Il quale è deformato – per natura dell’essenza antropologica – dall’uomo, ma muta anche l’uomo stesso deformandosi nello spazio in cui si adatta. Poco importa se la distopia geopolitica ci stringe verso una “soluzione” epocale; quasi svanita è l’apprensione con cui abbiamo toccato l’estremità del rischio. Guerre, pandemie, povertà e Natura insostenibile ci fanno “un baffo”. Continuiamo a vivere nella bolla edonistica del consumo superfluo. La Politica alta è stata rimpiazzata da quella terapeutica e la “felicità individuale” è diventata protagonista e modello del mercato (Cabanas 2019). L’industria della felicità, dopo essersi impossessata del viaggio, dopo aver svuotato i cinema e le feste familiari, sperimenta oggi nuovi luoghi per il “tempo libero.
Alla fine dello scorso decennio la “psicologia propositiva” presentava la Felicità come la scommessa del nuovo sociale. La Felicità guida l’economia e le “politiche pubbliche”. Per controllarne l’andamento nascono indicatori quantitativi e tecniche di misurazione. Sotto la lente dell’osservazione stanno le emozioni soggettive, il benessere e la soddisfazione esistenziale. Questa definizione di “felicità individuale” è ovviamente esentata dagli obblighi morali e dalle prescrizioni etiche o ideologiche. Lo strumento essenziale è una sorta di autoregolazione in cui la norma è ciò ch’è desiderabile. Il neo-liberismo non ha interesse a controllare e determinare idee generali ed astratte, definisce piuttosto concretamente le “strutture del sentimento”: l’essere, l’agire ed il percepire il mondo secondo un sentire individualista ed emozionale. Edgar Cabanas, in un saggio del 2019 conclude che “il neo-liberismo ha una nuova struttura dei sentimenti” che presuppone una certa maniera d’essere, di pensare e di agire e l’esige dagli individui. Essa corrisponde ad una idea di cittadinanza “estremamente individualista e psicologizzata secondo la quale la felicità è vista come uno stile normativo”. Con un mercato ed una industria sempre più fiorente.
Nell’attuale sistema non c’è dunque posto per l’estraneo se non nella sua diversità. Lontananza geografica e distanza mentale, non possono che subire un processo di adattamento allo status corrente. Si deformano esistenze così come i monumenti o le residue eredità estetiche del Passato. Il Museo è triturato nel Bengodi internazionale presentandosi coi “marker” turistici e nelle formule di consumo emozionale. L’Antichità, quella complessa erudizione di passione estetica, è oggi facilitata in processi di mortificante attualizzazione. Le immagini delle civiltà sono riversate nell’astratto sistema di una nuova identità. Sculture e oggetti si fondono, si confondono mescolandosi in miscugli come parafrasi d’arte in una forma di metaesteticità.
Il sistema del turismo d’arte ha occupato lo spazio commerciale della cultura la quale, liquidato il corpus dove una volta si posizionava in modo assiologico, riunisce ora un popolo indistinto di consumatori passivi. L’economia della “felicità culturale” si impone attraverso le dinamiche produttive della comunicazione e dello spettacolo. Spazi di quei mercati si allargano verso i dispositivi virtuali ad alto indice di profitto. Una montagna di denaro pubblico ha investito il mondo del digitale, nonostante i ripetuti fallimenti delle scelte politiche come la grossolana idea di una visionaria Netflix nazionale. I banchi dei concessionari alla ricerca di una estensione delle vendite, si allargano oltre la consueta offerta libraria. L’imposizione di questo consumo è divenuto determinante e sovrasta ormai il sistema “Cultura” della vecchia Europa dominante fino al primo decennio del nuovo millennio. Nascono nuove idee “iconiche” per i vecchi musei; progetti di crescita e di espansione forzata che prescindono dai luoghi, dai territori e dai contesti. I siti sono ordinati dal sistema di “mediazione” dei nuovi proprietari che si sono impossessati, col diritto di una “politica orizzontale”, dei beni del Patrimonio. Lo Stato si è dissolto nella liquidità degli assiomi emergenti, al primo posto dei quali è l’apporto di una consistente aliquota al PIL nazionale.
Opere d’arte contemporanee, installazioni, oggetti vari da tempo hanno cominciano a popolare musei e aree archeologiche; oggi la moda trabocca in un sistema che ha oramai liquidato le vecchie regole per un “good tast” provinciale. Tutti i palati sono buoni per farsi servire da una “visita” agognata nei meccanismi delle OTA (Online Travel Agency). Il fatturato di Expedia Group – solo come esempio – è attualmente in ripresa anche se nel trascorso 2022 ha in 8,59 miliardi di euro una discesa rispetto al 2019 che ne contava più di 12. Booking Holding, rispetto al 2018 ha aumentato i ricavi per oltre il 17%. L’ecommerce del viaggio (Expedia e Booking), nel 2017 contava 193 miliardi di dollari. Queste entità multinazionali non ammettono certo relazioni programmatiche con gli stati nazionali e partecipano indirettamente alle decisioni di governo, attraverso le rappresentanze e le pressioni dei concessionari e degli alberghi. È in questa visione che si spiega come un progetto insensato di 18 milioni di euro possa interessare un’opera abbastanza inutile come la pavimentazione ad alto contenuto tecnoestetica del Colosseo. Ragioni verso una razionalizzazione dei flussi, anche in chiave di sorveglianza conservativa emergente dal collasso attuale, avrebbero suggerito politiche di multipolarità che invece con questa realizzazione sono state emarginate. Il target alla portata del monumentone sono i dieci milioni annui di visitatori. Al di fuori dei nodi ormai tradizionali del turismo, Roma vive il paradosso del “deserto collassato”. Mostre e mostriciattole si insinuano nei programmi dei consigli di amministrazione, ma il risultato ufficiale è sempre di perdita, quanto invece d’avanzo quello diffuso nell’indotto e soprattutto quello delle OTA.
Ma vi è un altro risultato trattato spesso come un “danno collaterale”: la scomparsa delle comunità cittadine e la conseguente perdita di una identità sociale. La città non ha più accesso a questi luoghi. I siti venerabili dell’antichità si trasformano col “contemporaneo” in un territorio da cui sparisce la storia. Non è uno scontro tra generazioni, come si vorrebbe far credere, ma di livelli qualitativi della vita e del quotidiano. È finita l’età del Sostenibile.
Il 17 novembre la Fondazione Prada ha inaugurato la mostra “Recycling Beauty”; una cosa seria! Per lo meno se consideriamo che tra i curatori sono Salvatore Settis e Rem Koolhaas. Il professore non ha potuto nascondere nelle sue interviste, le molte perplessità del rapporto Antico-contemporaneo, definendolo talvolta come una “convivenza problematica”. Le nostre città spesso non si accorgono della presenza di una Storia, la quale non è una cosa morta che non ritorna, ma è ciò che è stato e di cui qualcosa vive ancora. La sua vitalità si trova nel costante “recupero” della sua presenza; anche nei casi posti fuori dalla coscienza come sono stati nel passato e nel presente il sistema del “riciclo”; un’idea viva nella società contemporanea.
La noiosa tradizione della vecchia scuola sembra eclissata. Seppellita “la sindrome del professor Cutolo”. Mi spiego: le generazioni di qualche passato decennio ricordano le apparizioni di questo “discreto” personaggio che incarnava, nell’immaginario sociale degli anni sessanta: l’Erudizione. Faceva comparsa tra lo sketch di un comico, la melodia ospitale di una canzone. Non aveva una sua vera e propria funzione narrativa ed appariva solo perché incarnava il vecchio mito della scuola classicocentrica: egli era ciò che appariva. Presenziava con la sua elegante sagoma di mezz’età le serate di una Italia domestica, innocua e pacifica nel pieno boom economico. La sua scomparsa non ha lasciato vuoti, perché ha coinciso col diffondersi dell’anacronismo verso il Passato. Chi è oggi vittima di un’attrazione dell’antichità e ne indaga i “valori” del Classico e del Classicismo è un “bacchettone”. A che vale conservare ingombranti residui al centro delle nostre città? Rendiamoli almeno disponibili alla contaminazione, alla fusione con questo nostro presente. In certi noti casi: il Colosseo, Caracalla, il Pantheon, gli Uffizi, Venezia, ecc. potranno ben fare da occasionale sfondo alle “anime creative Pop”. Dalle sculture sonore, ai lessici minerali; alle installazioni apocalittiche ed al riciclo. Il Contemporaneo si confronta con la storia? No! È la storia che fa da sfondo al contemporaneo.
Inspiegabili grandi palloni sbiaditi si assettano tra i sectilia del Pantheon, nel mentre il casottino del guardiano, ci immelanconisce, con i suoi obsoleti anodizzati, di una trapassata giovanile apparizione. Sono rivisitati i “culti misterici” alle Terme di Caracalla. Ricompaiono in una reviviscente emozionalità teatrale. Servono a spiegarci il “senso del monumento antico” ed allo stesso tempo indurci nel contesto essoterico di una tradizione rivelatasi. Al Teatro Greco di Siracusa quest’anno fanno irruzione i concerti di musica moderna. Cantautori e cantanti famosi sono accorsi alla proposta dispettosa di un assessore. Il teatro è la sede di una illustre fondazione sul Teatro Antico che inscena: Euripide, Antigone, Aristofane e che adesso dividerà il cartellone coi concerti pop e rock. La sua celebre naturalità acustica, risultato di quella sublime costruzione spiegata da Vitruvio, sarà oggi sostituita dai decibel dei grandi diffusori dispersi nel diradare di un paesaggio famoso, sceso nelle pennellate dei vedutisti, fino alle scogliere ioniche: occasione pittoresca imperdibile per le nostre ugole straziate.
Si tratta della ristrutturazione di un linguaggio che dà vita ad un coacervo di ostica comprensione. Si capisce la difficile condizione dell’artista d’oggi! La difficoltà ad uscire da questo calderone spiazzante dell’indefinito e dell’irrilevante, ma queste soluzioni non servono certo alla chiarezza sul suo ruolo od a farlo emergere se non come soggetto necessitato di un sostegno sociale incarnato dal mito svuotato del monumento, del passato, della fama sbiadita di un vecchio rudere turistizzato in una città gentrificata. Tutto sembra privo di senso; anche di quello appartenente alla “rottura” di una relazione semantica tra i due diversi e opposti mondi, poiché spesso quello più recente rimane muto nella incomprensibile correlazione al Tempo ormai superato dalla dimensione già obsoleta del Presente. Se dunque nello sfondo piangono indignati i “bacchettoni” del Passato, sul palcoscenico passano “polpettoni” sempre più indigesti! Nella confusione creativa sfilano professori, soprintendenti, installatori, artisti, cantanti e creativi in genere; tutti occupati nel “Riciclo”.
La speranza che bisogna coltivare è forse quell’epilogo già accaduto alla neo-avanguardia intorno alla metà degli anni sessanta. Diceva Pier Paolo Pasolini ritenendosi suo vincitore: “esercitando delle infrazioni estreme al codice linguistico (la neo-avanguardia) fa nascere un rimpianto verso lo stesso codice ottenendo un effetto esattamente contrario a quello che si propone”.